Cosa vuol dire non essere Capitale della Cultura

Questo è il quesito che da qualche tempo a questa parte si legge sui volti sconfitti degli organizzatori, dei cittadini, delle persone che hanno seguito questo percorso dall’inizio.

L’entusiasmo si è placato, la realtà ha preso il sopravvento su qualcosa che in modo latente aleggiava da qualche giorno nei corridoi e nelle piazze, l’aspetto sostanziale di una decisione si è paventato quando il lavoro stava cominciando a dare i propri frutti, ma ahinoi è stato troppo tardi.

Ebbene si, bisogna essere onesti, il lavoro su quel benedetto programma è stato condiviso per tutti solo negli ultimi periodi, quando, su consiglio della Commissione, si era allargata la partecipazione. Le decisioni e le scelte sono state diverse, le azioni no. Il rischio di autoreferenzialità del percorso ha preso il sopravvento e infatti, la visibilità che doveva essere della città e di un territorio ha lasciato il posto allo spettro del protagonismo.

Tale analisi non è un giudizio, ma una constatazione delle condizioni in cui la città di Lecce versa, non solo dal punto di vista culturale, ma anche e soprattutto da quello sociale ed economico. Non era facile risolvere questioni e situazioni che da diversi anni ci trasciniamo e che da molto tempo vorremmo risolvere con progetti avviati e mai conclusi o che alla fine danno solo una risposta parziale di occupazione temporanea.

Da un anno a questa parte è nato questo movimento che pian piano ha preso piede ed è stato accettato e condiviso, una ventata di novità e sostegno, perlopiù grazie anche agli sforzi intellettuali ed economici di attori esterni.

E’ necessario che il lavoro meritorio fatto, non debba andare disperso per qualsivoglia responsabilità. È il momento di azionare il piano B o la leva secondaria. L’idea non è bizzarra, ma invece è addirittura innovativa. Puntare sulle nostre efficienze, sulle risorse già presenti e sull’entusiasmo generato da un coinvolgimento di massa che ha definito comunque ri-motivazione, entusiasmo, energie.

Il sostegno che si potrà offrire dipende da noi, dalle imprese, dalle organizzazioni, le attività che hanno voluto e investito direttamente in questo evento possono farcela con gli strumenti già in campo e che fino ad oggi non erano nemmeno noti e conosciuti ai più, forse anche per una forma di negligenza sociale che genera superficialità.

Abbiamo in mano gli strumenti adatti, associazioni nate per lo sviluppo economico e l’innovazione, fondazioni che offrono intermediazione filantropica e sostegno al welfare, gruppi di cittadini che hanno ripreso in mano il bene comune, questo è il frutto del lavoro svolto e questo frutto adesso va raccolto e valorizzato, senza alcun retro-pensiero e con il supporto reale di tutti, indipendentemente dalla classe e dal colore.

Ora è il momento giusto, ora è il momento per auto-innovarci e cambiare passo, ce la possiamo fare a diventare un territorio del 2000…sempre, per dare risposte reali ai nostri figli e ai nostri nipoti… lasciamo ai posteri un segnale, è proprio arrivato il momento !

Gabriele Ruggiero